15 gennaio 2016
Da quasi due
mesi l’Associazione Iride si misura con un nuovo impegno: si chiama “Progetto
Accoglienza” ed è iniziato lo scorso 18 novembre con l’arrivo all’Ostello Adige
(gestito dall’associazione) di sei ragazze africane richiedenti asilo.
Loro sono
Marina C., Mariam, Marina B. e Carol dalla Costa D’Avorio; Esther e Olamide
invece vengono dalla Nigeria.
Non si
possono scordare i loro sguardi al nostro primo incontro: smarriti eppure
grati, diffidenti, rassegnati, silenziosi, anche arrabbiati. Il loro cuore
altrove.
Alcune
accennavano un sorriso mentre le aiutavo a raccogliere quei pochi sacchetti che
si portavano dietro, incredula che potessero bastare per vivere.
Cercavamo di
sorridere anche noi che siamo andati a prenderle, con l’intenzione di farle
sentire ben accolte, eppure loro non ci sentivano, come fossimo l’ennesimo
operatore arrivato a spostare pacchi.
Non ci
sentivano come chi non ha alcun interesse per quello che sta accadendo, tanto
nulla può essere peggiore di ciò che ha già vissuto e del dolore che si
trascina dietro.
Il dolore di
chi scappa da un paese in cui la povertà e la violenza non lasciano alternativa:
morire, sopravvivere a stento, oppure fuggire. Lasciando, nella maggior parte
dei casi, i propri familiari, la propria storia, le radici.
Difficile
immaginare un simile dolore, finché non ci si trova davanti qualcuno che lo
vive: nonostante il silenzio, lo si può quasi toccare.
Un impatto
che lascia il segno, senza dubbio.
Per fortuna
le cose da fare ogni giorno insieme sono tante: imparare la lingua, tenere in
ordine l’ostello, concentrarsi in un laboratorio artistico, conoscere nuovi
volontari…e molto altro.
Piano piano
sui loro volti si vedono fiorire sorrisi limpidi e sguardi più presenti. Inizia
un contatto, forse ancora lontano, ma ogni giorno più reale e concreto.
Nonostante
la difficoltà della lingua (per la quale ci alterniamo tra l’essere ora
insegnanti, ora allievi, in un paziente scambio!) la presenza e l’ascolto
creano la fiducia reciproca, e un pezzettino alla volta escono i loro vissuti.
Il puzzle è
appena iniziato, ma con pazienza e tempo lo vediamo definirsi.
Intendiamoci,
ciò non significa che tutto sia facile e scorrevole verso una armoniosa
convivenza nello stesso Paese. Non sempre si ha la fortuna di accogliere persone
abituate al rispetto, all’ascolto, al confronto, e spesso ci troviamo di fronte
a comportamenti scortesi e ingrati, perfino violenti.
Ma perché?
E’ proprio questo il punto.
Accusare chi
ha fatto cosa lo sanno fare tutti, bastano due occhi. Capire in che condizioni
debba vivere un essere umano per arrivare a tali comportamenti è più difficile.
Anzi peggio:
è scomodo!
Scomodo
perché si deve abbandonare il giudizio e accettare che qualsiasi persona
privata di cibo, sicurezza, istruzione, libertà di pensiero, può manifestare il
lato più buio di sé.
Chiediamoci
come saremmo noi se fossimo cresciuti in un paese estremamente povero, dove non
c’è vita ma sopravvivenza, dove gruppi radicali o riti tribali uccidono ogni
giorno, dove i bambini devono pensare a salvarsi e a trovare un boccone, non
certo ad andare a scuola, dove le donne vengono stuprate o torturate e
costrette a sposarsi, ancora bambine, con uomini che le violentano, spesso fino
ad ucciderle.
Saremmo
civili ed equilibrati, composti e pronti al dialogo?
Un bambino,
o bambina, cresciuti nella paura di subire violenza, se hanno la fortuna di
salvarsi, vivranno la loro vita con un costante senso di pericolo e bisogno di
difesa, anche quando il pericolo non c’è più, aggredendo prima di essere
aggrediti.
Del resto,
come possiamo sperare di trovarci di fronte persone rispettose, equilibrate,
civili?
Se così
fosse sarebbero cresciute in un paese altrettanto civile e non sarebbero nella
condizione di fuggire in massa!
I bisognosi
non sono solo persone cui mancano cibo e vestiti, ma soprattutto coloro che non
hanno potuto crescere nel rispetto di se stessi e degli altri, nel senso
civile, nella libertà di costruirsi delle opinioni.
Scappano da
tutto questo e bussano alla nostra porta.
Spesso in
fin di vita. Spesso abbruttiti dalle troppe privazioni. Ancora più spesso grati
di ricevere aiuto.
La realtà
dell’immigrazione oggi è un tema molto delicato, e gli scontri tra i diversi
pareri (accogliere o meno) sono all’ordine del giorno.
Conosciamo
il senso di insicurezza di fronte a enormi masse di persone che arrivano in
Italia, in condizioni disumane, ma chiudere la porta, pensando di eliminare il
problema e di essere al sicuro, è solo un’illusione, che farebbe comunque
rientrare quel problema dalla finestra!
E anche se,
inverosimilmente, chiudere la porta funzionasse, come possiamo ignorare la
fetta di mondo che chiede aiuto? Tra l’altro rafforzando così le paure e le
occasioni di violenza?
Abbiamo il
dovere di rispondere, così come ogni essere umano ha il diritto di vivere in un
posto sicuro e di avere cibo e libertà di pensiero.
Nessuno
sceglie di essere un migrante, nessuno desidera diventare profugo. Chi fugge,
rischiando vita, tortura e dignità, non ha alternativa.
Inoltre le
migrazioni non sono un difficile evento di questo secolo, ma una costante della
storia: e da sempre, oltre le difficoltà, si sono dimostrate fonte di
innovazione, cambiamenti positivi, riavvio di nuove fasi di sviluppo culturale,
sociale ed economico.
Ciò che
serve davvero è una efficace organizzazione in tutto il nostro Paese e, ancora
di più, in tutta l’Europa, affinché l’accoglienza sia una responsabilità
condivisa: solo questo garantisce ai migranti un luogo in cui dignità e senso
civile sono assicurati, e a noi sicurezza e tranquillità nell’integrare queste
persone, che sarebbero distribuite in uno spazio geograficamente molto vasto.
Se le
premesse sono queste, accade, come stiamo vedendo a Legnago fin dal primo
giorno di questo progetto, e come anche in altre realtà che si occupano di
accoglienza: arrivano numerosi volontari, cittadini del territorio legnaghese e
limitrofo, pronti a conoscere le ragazze, a cercare e portare beni di prima
necessità, ad aiutarle nello studio della lingua e del nostro Paese, insomma a
fare il possibile perché la convivenza sia una opportunità per tutti.
L’Associazione
Iride, inoltre, si muove all’interno di una vasta rete di relazioni con altri
enti e istituzioni, che danno il loro appoggio e sostegno, nella convinzione
condivisa che l’accoglienza di chi è in grave difficoltà sia una responsabilità
di tutti.
Fondamentale,
in questo senso, è la sensibilizzazione verso questa realtà, soprattutto nei
giovani: per questo l’associazione risponde sempre agli inviti da parte degli
istituti scolastici, accompagnando le ragazze nelle assemblee degli studenti.
Questa situazione si rivela un momento di grande scambio sia per i giovani, che
possono sentire la testimonianza diretta e toccante di persone che vivono sulla
pelle ciò che si vede nei tg e nei libri, sia per le ragazze che incontrano il
nostro Paese attraverso il mondo dell’istruzione.
L’integrazione
è un cammino lungo, spesso difficile, eppure molto sorprendente.



